VINI TERRITORIALI E GRANDI PRODUTTORI: CASTELLO DI ALBOLA, ZONIN1821.
Ci sono pezzi più difficili da scrivere rispetto ad altri.
Questo è uno di quelli e, infatti, ci ho messo un po’ prima di decidermi a metterlo giù e poi a pubblicarlo.
La ragione è molto semplice. Siamo in un periodo storico in cui, per potersi definire amante del vino, sembra sia necessario dare la propria preferenza ai piccoli produttori, se poi fanno vini naturali siamo a cavallo. E, dunque, scegliere di parlare dei grandi produttori e delle loro tenute può rappresentare una scelta rischiosa e, forse, anche impopolare.
Vorrei essere chiara su questo punto, la mia filosofia di approccio al vino, che poi è la filosofia con cui mi avvicino a qualsiasi cosa, è molto semplice: I pregiudizi sono sbagliati! Sempre!
Ritenere, a prescindere, che l’approccio migliore al vino sia bere solo vino di piccoli produttori, o solo vini biologici, o solo vini biodinamici, o solo vini naturali (che poi devo ancora capire cosa significhi vini naturali…) mi pare piuttosto limitante.
Ecco perché, alla fine, come sempre nella mia vita, ho deciso di andare controcorrente e parlare di una delle degustazioni a cui siamo stati durante la Milano Wine Week.
Nello specifico, protagonisti erano la Tenuta Castello di Albola, di ZONIN1821, i suoi vini e il suo concetto di vino territoriale.
Se fate una veloce ricerca su internet scoprirete, senza troppa difficoltà, che ZONIN1821 è una delle più grandi aziende vinicole private italiane ed anche una delle prime a livello internazionale.
Fin dagli anni ’60 l’azienda ZONIN1821 ha fatto sua una scelta territoriale, selezionando territori d’eccellenza.
Ad oggi, sotto questo nome, sono incluse ben 11 tenute: Ca’Bolani, Tenuta Il Bosco, Castello del Poggio, Abbazia Monte Oliveto, Castello di Albola, Rocca di Montemassi, Masseria Altemura, Feudo Principi di Butera, Barboursville Vineyards (Virginia), DOS ALMAS (Chile), Zonin.
Parliamo di cifre importanti. Un team di 32 enologi e agronomi. Oltre 4.000 ettari di terreno, di cui circa 2.000 coltivati a vigna in Italia, dislocati su sette regioni italiane (Veneto, Friuli, Piemonte, Lombardia, Toscana, Sicilia e Puglia), e 500 ettari, di cui 90 vitati negli Stati Uniti.
Tutto questo è certamente dovuto a grandi disponibilità economiche, ma anche alla capacità di sognare e di realizzare questi sogni di una famiglia e, forse, soprattutto di un uomo.
Mi riferisco a Gianni Zonin, che nel 1970, nonostante i dubbi che, probabilmente, il resto della famiglia nutriva, ha deciso di seguire la sua idea di vino: “per produrre vini di eccellenza è necessario possedere vigneti, scegliendo i migliori terroir e i vitigni più tipici”.
Ecco perché ho accostato il nome di ZONIN1821 al concetto di vino territoriale, perché a mio parere di questo si tratta.
Ma veniamo alla degustazione a cui abbiamo partecipato e che rientrava nel caleidoscopio di eventi organizzati per la Milano Wine Week.
A parlare di Castello di Albola e dei suoi vini, è proprio il Direttore della tenuta, Alessandro Gallo, classe ’71, piemontese per nascita, ormai toscano per adozione.
Gallo ci tiene, da subito, a sottolineare quanto per l’azienda sia importante il concetto di territorialità e di vino territoriale, un vino cioè che sia frutto e legame del territorio.
Geograficamente, Castello di Albola è situato a Radda in Chianti, nella zona storica della denominazione Chianti Classico, che comprende (oltre allo spettacolare borgo di Radda in Chianti) anche Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti, a Nord parte di Castelnuovo Berardenga e Poggibonsi e a Sud San Casciano e Greve in Chianti.
Appartenuto un tempo alle più nobili famiglie toscane (gli Acciaioli, i Samminiati, i Pazzi e i Ginori Conti), Castello di Albola, di proprietà della famiglia Zonin dal 1979, si estende su una superficie di 900 ettari, di cui 157 a vigneto.
I vigneti Castello di Albola, insistono su suoli sassosi, tipicamente Alberese e Galestro, che garantiscono il drenaggio e conferiscono mineralità e sapidità ai vini, sono posti su declivi importanti, ad altitudini significative. Le vigne sono circondate da querce e roverelle, punteggiate da cipressi e contornate da oliveti.
Se fino a qualche anno fa il prodotto rappresentativo di Castello di Albola era il Chianti Classico, prodotto del blend di diversi vigneti aziendali, oggi l’azienda vuole distinguersi con dei prodotti, come si diceva, più marcatamente territoriali, concentrandosi su singole parcelle, singoli vigneti con peculiarità tali da poter fare la differenza nel panorama dei Chianti Classico.
Fondamentalmente, sono due le cose che permettono di riconoscere un vino da un altro: la prima è il vitigno, la seconda è il territorio.
Perché un vino è come una persona, ha un suo corredo di geni, ma ciò che veramente la caratterizza è dove cresce.
E quello di Radda in Chianti è un territorio fortemente caratterizzante, lo è così tanto da rischiare anche di soverchiare il valore del gene, il valore del vino.
Ecco perché, Castello di Albola ha puntato sui single vineyards: per poter dimostrare quale è la vera importanza del territorio.
Ha scelto di farlo proprio con il Sangiovese, anzi, il Sangioveto, antico nome del Sangiovese grosso di Toscana, simbolo del Chianti Classico, che in questi luoghi va a connotarsi con caratteristiche di freschezza, di acidità e di bevibilità che in altre zone non si trovano.
Ed ecco perché, nel 2006, un piccolo vigneto a forma di cuore, poco più di 1 ettaro in tutto, è diventato il “primo” vigneto di Castello di Albola.
Questo vigneto è il Solatio. Chiamato così per la sua esposizione a sud-est, totalmente circondato dal bosco, a 550-580 mslm. Caratterizzato da un terreno quasi esclusivamente costituito da frammenti di roccia, Alberese, particolarmente permeabile e a bassa fertilità.
Il Solatio non viene prodotto tutti gli anni, proprio per l’altitudine a cui si trova il vigneto, e anche quando viene prodotto parliamo di 3.000 bottiglie/anno.
Questi sono numeri che, probabilmente, non influiscono sul turnover di un’azienda come ZONIN1821.
Ma, queste 3.000 bottiglie/anno hanno fatto la differenza. L’hanno fatta in termini dell’immagine dell’azienda. Hanno fatto la differenza, perché sono diventate sinonimo di qualità, di integrità, di territorialità del Sangiovese di Castello di Albola.
Hanno fatto così tanto la differenza che, 10 anni dopo, quello che sembrava essere solo un gioco, è diventato qualcosa di molto serio, nel momento in cui un altro vigneto, questa volta un po’ più grande, 6 ettari, quindi con un potenziale numero di bottiglie prodotte decisamente più elevato, è stato scelto.
Questo vigneto è il Santa Caterina, esposto completamente a Sud, ad una altitudine media di 550 mslm, su un terreno ricco di Galestro.
Come sempre, però, per poter davvero capire, ma soprattutto per poter verificare, le scelte di Castello di Albola, bisogna passare per la prova del calice!
E, infatti, sono stati serviti 6 vini dell’azienda:
Chianti Classico DOCG 2015
Questa è l’annata corrente, infatti questo vino richiede almeno tre anni di affinamento prima di poter essere messa sul mercato. Si tratta di un blend di vari vigneti aziendali, 100% Sangiovese, e rappresenta tutto lo stile del territorio con un naso fresco, floreale, tipico del Sangiovese di altura, con un gusto minerale, una spiccata acidità e un tannino importante che lo rendono un vino da pasto.
“Il Solatio” Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2015
Rosso rubino intenso con riflessi granati, al naso presenta note di ciliegia, di macchia mediterranea, di spezia, cannella, tabacco, complesso e fine. Al palato risulta fresco e sapido, con note speziate e di frutta rossa scura, lungo e persistente. Si tratta di un vino speziato, elegante, carnoso, teso e verticale in bocca.
“Santa Caterina” Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2015
Anche in questo caso, il vino si presenta rosso rubino intenso con riflessi granati. Questo è un vino più concentrato, un po’ più piacione, anch’esso intenso, caratterizzato soprattutto da note floreali di giglio e di frutta rossa matura. In bocca è deciso, voluminoso e dolcemente tannico, con un finale lungo e persistente. Un vino, forse, un po’ più “internazionale” nella sua concezione.
Chianti Classico Riserva DOCG 2014, 3 bicchieri 2018
Rosso rubino tendente al granato. Al naso è intenso con note di frutti di bosco, spezie e note tostate, che a me ricordano il caffè tostato. All’assaggio si fa notare per l’equilibrio tra l’alcool e l’acidità e per la sua persistenza.
“Il Solatio” Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2008
Qui parliamo di un vino che ha già 10 anni, ma sorprendentemente il colore è di un bellissimo rubino, con lievi note granate. Al naso il bouquet è intenso e complesso, con note floreali in primis, note minerali, ma anche note balsamiche. E poi ancora frutta, amarene sotto spirito, spezie, cioccolato, caffè, tabacco, un accenno di nota animale. In bocca l’attacco è dolce, ma per il tannino particolarmente morbido e per l’alcool.
Chianti Classico Riserva DOCG 2006
Per ultimo, un vino di 12 anni, che ancora e come tutti gli altri si presenta giovanissimo. Alla vista, spicca con il suo rubino e lievi note granate. Al naso è intenso e fine, con note di frutta rossa, spezie, pepe, tabacco. In bocca si percepisce al di là del piacevole equilibrio tra acidità, alcol e tannino, una piacevole speziatura e una leggera nota animale.
Quel che mi ha, particolarmente, stupito è stata la evidente longevità di questi vini. Lo testimonia in primis la vista, tra i 6 calici non si nota alcuna declinazione del colore, nessun decadimento. Poi, sia al naso che alla bocca, si intuisce come siano vini con un lungo futuro dinanzi.
Non ho ancora una enorme esperienza in termini di Sangiovese e di Chianti Classico, lo ammetto!
Però mi sento di dire che i due single vineyard hanno, senza ombra di dubbio, mostrato nel calice qualcosa di molto diverso dagli altri vini. Subito, è stato evidente che erano su un piano diversi, rispetto agli altri vino in degustazione.
Ma erano anche molto diversi fra di loro, proprio a riprova del fatto che composizione del suolo, esposizione e altitudine hanno un impatto fortissimo.
Il mio preferito? “Il Solatio” Chianti Classico DOCG Gran Selezione 2008, ma vi assicuro che a mio parere erano tutti dei gran bei vini!
In conclusione.
Io non so dirvi quale sia il miglior vino da bere, né quale sia il miglior Chianti Classico in circolazione. Non è questo lo scopo di questo blog.
Ma credo che, perché valga la pena berlo, un vino deve essere fatto bene, niente “puzzette” per capirci. Deve rispondere al territorio e al vitigno, parlarcene mentre lo degustiamo. E deve avere anima, vi deve emozionare a tal punto da voler far durare quel calice più tempo possibile!
Se ci sono tutti questi elementi, cosa importa la grandezza del produttore?
Posted on: Gennaio 6, 2019, by : Sara Passaro