17.08.18 SAINT-ÉMILION E LO CHATEAU LA GAFFELIERE
Bordeaux e Saint-Émilion: tra fantasia e realtà.
Capita, alle volte, di fare un sogno ad occhi aperti e di arricchirlo di mille particolari fantasiosi.
Capita, poi, di vivere nella realtà quanto sognato, di scoprire che è tutto diverso e di rimanerci anche un po’ male.
Oppure, capita che la realtà si riveli più sorprendente dei sogni, perché oltrepassa di gran lunga la nostra più fervida immaginazione.
Può succedere sognando le persone, le cose, gli amori, ma anche sognando i viaggi.
Mi è capitato, recentemente, di degustare un Cabernet Sauvignon prodotto a Bordeaux, (ne ho scritto qui: TRAVELLING WITHOUT MOVING) e di iniziare ad immaginare, con aria trasognata, di percorrere in lungo e in largo quella zona della Francia.
Una zona che secondo alcuni è, a ragione, da considerarsi il luogo di nascita del vino (in senso moderno, come lo conosciamo noi oggi). E secondo altri non è altro che un equivoca regione francese, popolata da affaristi spregiudicati che commercializzano vini sopravvalutati e artificiosamente costruiti.
“Bah… chi avrà mai ragione? Lo squadrone dei detrattori o gli entusiasti filo-bordolesi?”, pensavo sognante, mentre sorseggiavo il mio bel Bordeaux rosso rubino, con la nuvoletta “mumble mumble” sopra la testa in puro stile Zio Paperone.
Mi è capitato, come avevo minacciato alla fine del pezzo di cui sopra, anche di acquistare i biglietti aerei e di andarci di persona a vedere quei posti, durante questa calda estate 2018.
Con me c’era anche Sara, che, da quando abbiamo iniziato a tenere insieme questo blog, è sempre più appassionata (e ferrata); e che, naturalmente, non si è lasciata sfuggire un’occasione di viaggio così ghiotta.
Volete sapere se il sogno corrisponde alla realtà in quel di Bordeaux? Beh, allora, date un occhio qui sotto, e cercherò di dirvi la mia.
Poi vi racconto anche di una visita ad uno Château che abbiamo fatto (la prima di quattro visite complessive).
Perché, al di là del classico percorso da “visita in cantina”, sono venute fuori una serie di considerazioni interessanti sulla zona di “Saint-Émilion”, sui suoi vini e sulla sua classificazione (con relativi problemi annessi e connessi).
Iniziamo col dire che tutta la zona di Bordeaux merita sicuramente una visita.
Ci sono scenari che cambiano in continuazione, in quel pezzo di terra dove i due principali fiumi della zona, la Garonne e la Dordogne, si incontrano nell’estuario della Gironda, prima di gettarsi nell’Atlantico.
Una conformazione varia, che passa dalla collina, sempre piuttosto morbida, al susseguirsi di campi vitati a perdita d’occhio in zone che sono, in effetti, molto più pianeggianti di quello che uno si potrebbe immaginare, avendo in mente il classico scenario da zona di produzione viti-vinicola da cartolina.
Ma anche quando sono pianeggianti, i posti rimangono, comunque, da copertina di “Touring”[1].
Se uno ci va per il vino, a mio modo di vedere vale ancora di più la pena.
È vero: esistono pratiche discutibili in Bordeaux (in cantina e fuori dalla cantina). Per esempio, quelle che in qualche modo anticipano l’invecchiamento del vino, in barriques soprattutto. Perché il mercato non ha tempo da aspettare e chiede vini pronti da bere prima possibile.
Oppure, ci sono produttori che, sedotti dalle sirene di quei critici che più influenzano il mercato con i loro voti (Robert Parker, James Suckling, per fare due nomi a caso), in cantina cercano di smussare gli spigoli, assecondando i gusti “internazionali”.
Però, questo non è vero per tutti! La regione del Bordeaux è piuttosto estesa e ci sono una miriade di produttori. Per cui penso sia meglio evitare di fare di tutta l’erba un fascio.
Un grande château, con una storia secolare e una clientela consolidata, ci pensa un bel po’ di volte, prima di mandare tutto a carte quarantotto e di dissipare quanto ha di più prezioso: la tradizione (possibilmente arricchita dall’innovazione tecnologica).
Direi che l’obiettivo dei produttori bordolesi è, piuttosto, quello di cercare di ottenere un vino con caratteristiche il più uniformi possibili nel corso degli anni (e questo in Francia è fondamentale). Tutto questo cercando assolutamente, però, di stare al passo coi tempi, sia dal punto di vista tecnologico, che per quanto riguarda la cura della vigna.
È altresì vero che ci sono châteaux che hanno investito più di altri nel corso degli ultimi anni, ma non sono stati premiati da un sistema (soprattutto quello governato dalla classificazione del Médoc del 1855), che è totalmente statico.
Il sistema di classificazioni di Saint-Émilion, invece, è soggetto a revisioni, che però sono solo decennali e in un decennio ne possono succedere di cose. Ma di questo parliamo fra un attimo.
La sensazione generale è, comunque, che ognuno voglia cercare di non perdere il treno, e di sfruttare al massimo quello di cui dispone; in effetti parliamo di un territorio che, oramai da anni, ha capito che il prodotto vino, e il suo indotto, sono l’equivalente del petrolio per i paesi del Golfo. E di gente che ha capito che anche se il vino non si esaurisce come il petrolio, non si può comunque perdere terreno, e bisogna continuare ad investire.
Il primo Château che abbiamo visitato (la Gaffelière), è situato nei pressi di Saint-Émilion, grazioso paesino sulla sponda destra[2].
Ovviamente, in quanto grazioso paesino in quella che è, forse, la zona più pittoresca e collinare di tutto il Bordolese, è anche letteralmente assalito dai turisti. Questo, però, non impedisce di godersi una giornata in zona; una piacevole escursione da abbinare naturalmente alla visita di qualche cantina.
Come accennato in precedenza, la zona di Saint-Émilion, ha una sua specifica classificazione, nata nel 1954. A differenza della classificazione del 1855, che si riferisce esclusivamente ai vini del Médoc (sponda sinistra), e che è fissa, quella di Saint-Émilion viene rivista ogni dieci anni.
La categoria più alta è il Premier Grand Cru Classé, che viene a sua volta suddivisa in due sottogruppi: A e B. I vini appartenenti alla categoria A, sono considerati i vini top della categoria. Seguono due altre categorie: Grand Cru Classé e Gran Cru.
Naturalmente, c’è una grossa differenza in termini di prezzo a cui si può vendere il proprio vino, ad esempio, per un produttore Premier Grand Cru Classé ed un produttore Grand Cru Classé.
Per questa ragione, il tasso di litigiosità in questa zona è sempre stato altissimo e, nel 2006, a seguito della loro recessione in classifica, 4 cantine hanno iniziato una battaglia legale contro l’organo preposto alla decisione, l’INAO[3], per farla annullare.
La violenta controversia legale, ha coinvolto anche la Corte Costituzionale, e non si è sopita neanche nel 2012, con la pubblicazione di una nuova classifica, redatta da valutatori indipendenti.
Infatti, nel 2013, alcuni piccoli produttori hanno iniziato una nuova battaglia legale, asserendo che essa favorisse i grossi produttori, a dispetto dei piccoli. Infine, nel 2015, il tribunale di Bordeaux ha convalidato la classifica ufficializzata nel 2012. Ed è quest’ultima la Classifica che attualmente, a meno di nuove azioni legali dell’ultimo minuto, rimane in vigore.
È stato un grave colpo per l’economia e per l’immagine di Saint-Émilion essere coinvolti in questo tipo di incresciosa vicenda legale?
Non saprei. Sicuramente è vero che se ne è parlato, e non poco. E, come è risaputo, a volte non importa che si parli bene o male di una faccenda. L’importante è che se ne parli.
Nel suo piccolo, anche lo Château la Gaffelière, cioè quello che abbiamo visitato proprio lì a Saint-Émilion, ci ha coinvolti nella polemica in corso.
Infatti, una delle prime cose che la responsabile dell’accoglienza e delle visite in cantina, Jana (una affabile ragazza estone, che parlava fluentemente sia il francese che l’inglese), ci ha chiarito è che loro sono Premier Grand Cru Classé B; ma le loro vigne sono confinanti con quelle dello Château Pavie (per non voler far nomi), che però è un Premier Grand Cru Classé A.
Il messaggio era, quindi, il seguente: guardate che facciamo praticamente lo stesso vino, ma siamo in due classi differenti.
In definitiva, non so dirvi se il vino del vicino sia meglio o peggio; certamente il vino del vicino è come l’erba del vicino: sempre più verde!
Ma veniamo alla nostra visita.
La visita allo Château la Gaffelière si è concentrata sulle 3 zone principali, con cui qualsiasi guida/addetto accoglienza di qualsiasi château cercherà di impressionarvi.
Punto di partenza è la vigna (se raggiungibile dallo château); a seguire la parte di cantina con le cuves inox (e qui lo château mostra i suoi muscoli tecnologici).
Infine, la cantina con le barriques. Qui gli châteaux più importanti si avvalgono dell’intervento di grandi architetti, per progettare aree che, oltre ad avere la funzione di cantina, celebrino anche il prestigio dello château, svolgendo la funzione di “area di rappresentanza”.
Ecco come si presentavano lo château ed i paraggi dello château. (Lascerei parlare le foto).
Al termine della visita, abbiamo degustato un 2014 e un 2015 dello Château la Gaffelière e un 2007 e un 2014 dello Château Armens, gestito dal figlio del proprietario di la Gaffelière, e situato nelle vicinanze; questi ultimi di categoria inferiore, in quanto Saint-Émilion Grand Cru.
Pur essendoci fra i due château un notevole distacco, noi siamo tornati a casa con uno Château Armens 2007. Un vino che, comunque, ha dimostrato di essere ben fatto; denso ed elegante, con note di frutta rossa, sentori di vaniglia e caffè molto ben equilibrati e ad un prezzo accessibile.
I due Château la Gaffelière, 2014 e 2015, 70% Merlot e 30% Cabernet Franc (nel corso degli anni, la proporzione varia ed arrivare fino al 100% Merlot), sono vini che definirei eleganti. Entrambi si mettono in mostra con un bel colore rosso porpora intenso; i tannini sono molto delicati, il palato fresco e minerale, il finale lungo e avvolgente.
Il 2015 è leggermente in evidenza, con i profumi del Cabernet Franc ben presenti (ad esempio truciolo di matita), bei sentori di mirtillo, mora, creme de cassis e spezie. Tutti questi vini fanno dell’acciaio, con alcuni lotti che completano la fermentazione malolattica in barriques. L’affinamento è di 14/16 mesi in barriques di rovere francese, il 50% delle quali sono nuove ogni anno.
A detta del produttore, questi due vini sarebbero da bere tra il 2020 e 2035. A giudicare dagli indizi, una paziente attesa, verrà senz’altro premiata.
Tirando le somme.
Beh, se il buongiorno si vede dal mattino, allora questo giro nella regione vinicola di Bordeaux promette davvero molto bene!
Questa prima giornata tra le vigne della cosiddetta Rive Droite, ci ha permesso di ammirare una splendida cittadina e di paesaggi davvero degni di nota. Ma ci ha dato anche modo di iniziare a farci una nostra idea sulla “questione Bordeaux”.
E, aldilà delle polemiche, più o meno giustificate, ci ha dato l’opportunità di vedere da vicino cosa vuol dire fare vino a Bordeaux per un Premier Grand Cru Classè.
E le prossime visite come saranno?
Scopritelo con noi: Stay tuned!
[1] Rivista del Touring Club Italiano.
[2] La regione di Bordeaux, intesa come area produttiva vinicola, pur essendo suddivisa in varie zone e in varie AOC, viene generalmente suddivisa in sponda sinistra (cioè lungo la riva sinistra del fiume Garonna e dell’estuario della Gironda) e sponda destra (cioè ad est del fiume Dordogna).
[3] INAO –Istitut National de l’Origine et de la Qualité, a sua volta parte del Ministero dell’Agricoltura francese
Posted on: Ottobre 27, 2018, by : Daino